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DANZARE LE DIFFERENZE: come nasce la metodologia della DanceAbility

Aggiornamento: 8 nov 2020


Associazione "OTTAVO GIORNO" Padova

Dott.ssa Ilaria Specchia

“Se sei vivo allora puoi danzare” Alito Alessi

La DanceAbility è una metodologia di danza che coinvolge ballerini con differenti abilità, è una forma di “danza accessibile a tutti” ed esplora le varie possibilità dei corpi in movimento. Fondata all’inizio degli anni ‘90 grazie al contributo di Alito Alessi, danzatore e coreografo della Joint Forces Dance Company, la DanceAbility porta avanti la lotta alla stigmatizzazione e all’oppressione sociale, essendo una forma di danza inclusiva. (Holzer, 2010). Il progetto DanceAbility nasce sia sotto l’influenza del filone novecentesco della Modern Dance, che propone una danza rivolta a tutti, sia sotto la spinta politica e sociale del movimento attivista che abbraccia il pensiero di Michael Oliver sulla disabilità. Alessi crede molto nella funzione sociale dell’arte e grazie alla sua esperienza e formazione, dà vita ad un metodo che vuole essere modello di una società aperta, priva di pregiudizi, e che dia opportunità a tutti. Nella danza riesce a creare un microcosmo sociale in cui sono rimosse le barriere e soprattutto le categorie identitarie: non esistono così movimenti e posture giuste o sbagliate, ma avviene tutto in uno scambio di intenzioni, di condivisione dei movimenti, generando nel momento della danza un mondo simbolo di accettazione e inclusione.

Di grande importanza per la nascita della DanceAbility, è stato l'incontro con la Contact Improvvisation(CI). La CI, che attinge da varie discipline quali Tai Chi, meditazione, danza contemporanea, teatro e acrobatica, è stata elaborata da Steave Paxon negli anni ‘70 in America, insieme ad un gruppo di danzatori post-moderni. Si tratta di una forma di danza improvvisata che ricerca alternative e possibilità di movimento attraverso il contatto fisico e sensoriale sia con lo spazio (interno ed esterno), che con gli altri. Questa danza segue il principio del “responsive body”(Novack, 1990), cioè di un corpo che è capace di compiere delle scelte in relazione all’ambiente in cui si muove. Il principio fondamentale è perciò l’idea di un corpo che vive e ricerca relazioni, e che nel movimento a contatto esplora la condivisione di una danza unica e irripetibile. Cynthia Novack esprime benissimo questo concetto nella testimonianza presa dal suo libro Sharing the dance:

“Così cominciai ad avere esperienza della sensazione interna del movimento. La preoccupazione di come quello che stavo facendo sarebbe apparso agli occhi degli spettatori svanì e io mi concentrai su ogni piccolo movimento delle mie giunture. Era un’esperienza molto diversa da quelle che avevo vissuto precedentemente con la danza. Sentivo di non avere un corpo agile, flessibile, virtuoso ma di viverlo”

Alito Alessi, si è avvicinato alla CI nel 1974 grazie all’incontro con Andrew Harwood e Karen Nelson, che avevano precedentemente lavorato con Paxon (A. Holzer, 2010).

La sua formazione come ballerino, esperto di arti terapie e psicologia, viene perciò ampliata dall’incontro con la CI. Questa pratica ha consentito di sperimentare in prima persona la stretta connessione con le sensazioni del corpo, l’esplorazione del contatto con gli altri corpi e il rapporto di reciproco ascolto. Inoltre ha abbracciato in pieno la mission sociale della CI, aprendo ancor di più i confini della danza e includendo persone con differenti abilità. Il primo vero e proprio laboratorio di CI aperto a tutte le abilità è stato organizzato da Alessi nel 1987 a Eugene, Oregon. All’evento partecipano circa una sessantina di persone (tra non vedenti, in carrozzina, non udenti ecc.) e in quel momento Alessi intuisce alcune delle modalità per poter lavorare con gruppi misti. Durante il laboratorio alcuni dei partecipanti ebbero difficoltà nello svolgere dei compiti: per Alessi iniziò da questa esperienza, la ricerca di un linguaggio comune e di esercizi che non isolassero nessuno (Holzer, 2010). Molto importante è stato l’incontro con Emery Blackwell, un danzatore e attivista politico affetto da paralisi cerebrale spastica, con il quale Alessi si sperimenta nella costruzione di performance basate sull’incontro delle possibilità di movimento. Il lavoro con Emery aiuta Alessi ad affinare il metodo DA, adattando il principi della CI a tutte le abilità, e smontando quelle che sarebbero state le “barriere” di una danza perfetta. (Erhard, 1995).

Obiettivi e filosofia della DanceAbility Da un intervista ad Alessi fatta nel 2003, condotta dal ballerino Jenni Malarkey si coglie l’essenza e lo scopo della DanceAbility, cioè quello di creare un progetto fondato sulla parità e la partecipazione di tutti, che favorisca la libera espressione e riduca la distanza tra le differenze. L’intento è quello di generare uno spazio alle possibilità, invece di fissarsi nelle stereotipie create dalle categorizzazione dei deficit. L’idea è quella di mettere in dubbio le dicotomie di un corpo “abile o disabile” consentendo a tutti di entrar a far parte dell’unico gruppo di danzatori. La tecnica principale usata nella DanceAbility è quella dell’improvvisazione, la quale consente instaurarsi di relazioni fra i partecipanti, che mettendosi in gioco in prima persona sono stimolati a scoprire le proprie possibilità e a ricercare alternative di movimento con i “molti tipi di corpi”. Quali sono le capacità di movimento e di percezione che, in questo particolare gruppo, vengono condivise in modo che tutti possano esserne partecipi? Potrebbe essere il respiro, il movimento degli occhi(…)le variazioni da gruppo a gruppo sono infinite”. L’attenzione posta a questi elementi garantisce la partecipazione e l’accessibilità al mondo della danza a chiunque. Gli obiettivi principali della DanceAbility possono essere così riassunti:

  • dare opportunità di espressione artistica a tutti;

  • sviluppare un linguaggio comunicativo basato sul movimento corporeo;

  • favorire relazioni che aiutino a sradicare pregiudizi reciproci fra le persone;

  • sostenere la partecipazione, l’inclusione e l’appartenenza alla vita comunitaria, per promuovere la salute e la cultura della differenza;

  • incoraggiare nella conoscenza delle possibilità del corpo e sperimentare nuove possibilità di movimento;

Attraverso il linguaggio della danza ci si apre a nuove forme di comunicazione basate sulla fiducia, sulla condivisione di sensazioni e di vissuti.

Come viene percepito il proprio corpo? Cosa succede quando si incontrano corpi differenti? Come si può sviluppare la comunicazione e il trasferimento di sensazioni fra i corpi? Qual è l‘impulso del movimento? Come vivo lo spazio e il tempo? Quali sono le possibilità fisiche e coreografiche dei corpi in movimento e in contatto?

L’enfasi è posta sull'esperienza interna del movimento, sul peso, sulla fluidità, sull'attesa del tempo dell’altro, sulla relazione inter soggettiva, sullo spazio e sulla possibilità di costruire una danza che diviene simbolo di inclusione e coesione.


Ilaria Specchia "Danzare con le differenze: una ricerca esplorativa sul metodo DanceAbility per la Promozione della Salute" 2015



 



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